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Channel: Architettura Ecosostenibile: bioarchitettura, design e sostenibilità
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Da Vinci Tower: la torre dinamica di Dubai

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Negli ultimi decenni sono state realizzate a Dubai decine di edifici spettacolari ed innovativi, mentre alcuni progetti sono in fase di realizzazione o non ancora avviati. Tra i progetti più particolari che non sono stati ancora realizzati c’è la “Da Vinci Tower” o “Dynamic Tower”, progettata nel 2001 ed ancora solo su carta, opera dell’architetto David Fisher, italiano di origini israeliane, e del suo studio Dynamic Architecture.

EDIFICI ROTANTI CHE SEGUONO IL SOLE

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La torre prevede 80 piani per un totale di 420 metri di altezza in cui sono collocati 200 appartamenti, uffici, 5 ville da 1500 mq ed un albergo a 6 stelle, ma la peculiarità del progetto risiede nella sua natura dinamica e mutevole: ogni piano infatti ruota attorno ad un pilone centrale, che costituisce la struttura portante dell’intero grattacielo rotante, in maniera indipendente, generando così infinite configurazioni dello skyline della torre. Il sistema che muove ogni piano è costituito da 8 turbine eoliche, che oltre ad alimentare i fabbisogni energetici degli appartamenti presenti, permette di generare, insieme ai pannelli fotovoltaici integrati sul tetto di ogni piano, oltre 190 milioni di kilowatt all’anno ed un relativo introito di 7 milioni di euro derivato dalla vendita del surplus di energia prodotta.

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L’intera struttura sarà prefabbricata per permettere una molto più rapida messa in opera e conseguentemente ridurre drasticamente i tempi di costruzione (un piano ogni sette giorni anziché uno ogni sette settimane). I moduli degli appartamenti saranno assemblati in Italia, compresi di impianti elettrici, idraulici e di condizionamento. Gli spostamenti avverranno in maniera molto graduale in modo da non essere percepiti da chi vive nell’edificio e permettere di orientare i pannelli fotovoltaici permanentemente al sole per generare energia.

Il pensiero del progettista è che l’architettura dinamica può rivoluzionare i canoni estetici e culturali dell’arte del costruire, riunendo al contempo in un solo edificio la capacità di adattarsi alle esigenze degli abitanti e della natura, generando energia pulita e toccando livelli qualitativi altissimi.


Rabat Agdal: il progetto dei Mecanoo per un Marocco sempre più multimodale

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Il progetto per il nuovo hub di trasporto di Rabat in Marocco, vinto dallo studio olandese Mecanoo, affronta tematiche stimolanti dal punto di vista architettonico e sostenibile. Il grande sforzo di portare la progettazione sostenibile a livello urbano si sta facendo sempre più grande a partire soprattutto dalle reti di trasporto considerate, per certi versi, il cuore del sistema urbano. La nuova stazione ferroviaria “Ragbat Agdal” è stata concepita come un sistema complesso in grado non solo di gestire il trasporto urbano, ma di diventare anche luogo per abitare, lavorare e socializzare. La città crede molto nel progetto situato all’incrocio di alcuni assi importanti e mira a creare un’icona forte che ne testimoni lo sviluppo e la trasformazione in polo  multimodale.

URBAN HUBS: LE STAZIONI INTERMODALI NELLA CITTÀ SOSTENIBILE

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IL PROGETTO DI RABAT AGDAL

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Pensata come elemento di coesione e non di divisione, l’imponente struttura è organizzata in una sorta di grande rete che collega i diversi punti della città. I fili di questa rete sono i passaggi che fanno spola da una parte all’altra dei binari ad un livello sopraelevato andando a cucire il taglio creato  dall’infrastruttura.

Coesione urbana e sociale

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L’obbiettivo dello studio olandese è dare unità e continuità al tessuto urbano attraverso una serie di collegamenti trasversali al percorso ferroviario. Allo stesso tempo si cerca di dare un’identità forte all’edificio dal punto di vista sociale, racchiudendo al suo interno un mix di funzioni per garantire l’unione dello spazio di trasporto con altre funzioni della vita cittadina. Il tema della coesione sociale è un aspetto che spesso viene trascurato quando si parla di sostenibilità, eppure esso è uno dei tre principi che costituiscono lo sviluppo sostenibile. I Mecanoo sono riusciti a dare forza a questo aspetto progettuale creando un sistema completo nelle sue caratteristiche funzionali: la struttura accoglie spazi per il lavoro, la cultura, lo svago e non da ultimo per il trasporto; un unico sistema che diventa una sorta di piccolo quartiere dove non manca anche il tema residenziale che si ritaglia uno spazio più riservato nella parte nord, così da fondersi anche col tessuto residenziale esistente.

Tecnologie sostenibili

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La stazione sopraelevata consente come già detto la continuità urbana, ma allo stesso tempo è importante il rapporto con quello che succede sotto: accanto ai binari trova spazio un ampio parco pubblico che si sviluppa per tutta la lunghezza dell’edificio e che accoglie giardini, spazi per il mercato e attrezzature sportive. La struttura a rete consente di mettere in atto alcuni accorgimenti per il raffrescamento passivo e la vivibilità sia dell’edificio che degli spazi sottostanti, consentendone l’utilizzo durante tutto l’arco della giornata. La copertura, al contrario, attraverso i pannelli fotovoltaici sfrutta a pieno le elevate temperature marocchine per garantire un apporto energetico elevato a tutta l’edificio.

La nuova stazione di Rabat è un intervento che si  pone con forza nel contesto urbano sicuramente dal punto di vista fisico, ma ancor più dal punto di vista sociale provando a dare maggior rilievo alla sostenibilità dei grandi interventi, quella capace di unire la tecnologia con la vita e che da quella spinta in più per cambiare il modo di vivere e condividere, non solo il modo di produrre. Se l’intervento sarà in grado di raggiungere questi propositi lo stabilirà solo il tempo. Intanto, almeno sulla carta, le proposte che si mettono in gioco sembrano interessanti dal punto di vista sostenibile.

Gardens by the Bay. Il progetto sostenibile di Singapore

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L'attento studio bioclimatico ha nel mondo pochi altri esempi al livello dei Gardens by the Bay. Il parco, di 54 ettari, è composto, oltre che da una splendida vegetazione, da tre elementi fondamentali tra loro interconnessi: le due grandi serre, i due laghi e i 18 supertrees.

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Le due serre bioclimatiche

Le due serre bioclimatiche (una che ricrea la foresta pluviale di alta quota e l'altra il clima sub-mediterraneo) funzionano anche da elementi di captazione dell'acqua piovana, la cui energia per il raffrescamento e la deumidificazione è prodotta dalla centrale a biomassa del parco; l'ombreggiamento invece è ottenuto sia con l'uso di vetri riflettenti sia con il dimensionamento della struttura portante.

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I due laghi artificiali

I due laghi artificiali, oasi di biodiversità, sono anche riserva di acqua piovana per l'irrigazione che proviene dalle serre.

I supertrees

I supertrees (strutture metalliche che simbolicamente ricordano un albero) svolgono numerose funzioni: sostegno per tantissime varietà di rampicanti tropicali e bromeliacee, sostegno per le canne di esalazione della centrale a biomassa (che attraverso la cogenerazione produce anche energia elettrica per i chiller delle serre), sostegno per celle fotovoltaiche; sono infine stupendi punti di osservazione.

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Simbolo della volontà della città di Singapore di percorrere la strada della sostenibilità ambientale, il Garden By The Bay è uno splendido esempio di parco che coniuga la valorizzazione della biodiversità nelle grandi città, un concreto intento didattico e una maestosa valenza paesaggistica.

Articolo di Arch. Alberto Trabucchi per Blossom zine inserto speciale Singapore

L'appartamento modulare: case per una società che cambia

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Per aiutare il crescente numero di single che vivono a New York a trovare una sistemazione, il sindaco Bloomberg ha indetto nel 2013 un concorso che ha stimolato i progettisti a misurarsi con la progettazione, la costruzione e il funzionamento del primo condominio composto da micro-unità della città, che creerà 55 micro appartamenti da moduli prefabbricati, intitolato "My Micro NY".  

Le unità modulari saranno realizzate all’interno di una struttura coperta di Capsys a Brooklyn; i moduli saranno impilati uno sopra l’altro in loco questa primavera,completi di infissi e finiture, e si prevede possano accogliere i primi abitanti entro la fine del 2015.

EDIFICI MODULARI: L'ALBERGO FATTO DI CONTAINER

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La progettazione delle unità prefabbricate è stata affidata allo studio nArchitects.

Negli anni cinquanta, le famiglie richiedevano appartamenti comprendenti da due a quattro camere da letto, mentre oggi molte persone abitano sole. Il mercato immobiliare non si è ancora adeguato alle esigenze dei cittadini. A New York, oggi, si contano 1,8 milioni di nuclei famigliari composti da una o due persone (su 8,4 milioni di residenti) ma solo 1 milione di monolocali. Se si considera che quel 20% è destinato a crescere emerge quanto sia importante ripensare alla riorganizzazione delle abitazioni in funzione delle esigenze presenti.

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Di qui l’idea di creare soluzioni abitative più vicine alle necessità a quella fascia della popolazione, in costante aumento, composta da single, coppie, studenti, giovani o anche anziani rimasti soli.

In occasione dell’annuncio del concorso, il 22 gennaio 2013, il sindaco Bloomberg ha elogiato costruzione modulare per i benefici che porterà al progetto. "La costruzione modulare ... è più veloce, meno costosa, consente elevati livelli di controllo della qualità e riduce significativamente i rifiuti e il trasporto di componenti su gomma. È anche più sicura per i lavoratori, visto che la costruzione è fatta all'interno di ambienti controllati (e non in cantiere)“. Il sindaco della Grande Mela ha voluto fortemente porre l’accento sul carattere sostenibile della prefabbricazione.

Derogando alle norme di zonizzazione e densità, le micro unità sono piccole per gli standard tipici di un appartamento, tra 27 e i 35 metri quadrati, ma sono progettate per ottimizzare lo spazio e offrire tutti i comfort. I piani hanno un’altezza media tra i 2,70 e i 3 metri, gli appartamenti sono dotati di angolo cottura, un bagno accessibili ai disabili e grandi finestre. E per contribuire a rendere vivere in un piccolo spazio più gradevole, gli inquilini avranno accesso a numerosi magazzini e spazi comuni in tutto l’edificio.

La carenza di proposte adeguate per trovare un alloggio in affitto è da tempo uno dei problemi di coloro che cercano alloggio in città in particolare single e studenti con budget limitati; questo intervento mira a dare risposte a una esigenza concreta del nostro tempo.

L'idea delle abitazioni modulari non è una novità: in città ad alta densità come Tokyo alloggiamento modulare è stato già istituito nel 1970 con la Capsule Tower Nakagin. Questo esempio di New York può essere visto come una moderna re-interpretazione dell’architettura giapponese, di cui la Capsule Tower è un esempio.

El Mirador: binari del treno come materiale da costruzione

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La residenza El Mirador si trova in Messico ai margini di un’ampia tenuta in posizione sopraelevata rispetto ad un bacino d’acqua e riparata rispetto ai venti dominanti da una foresta. L’edificio è stato progettato dall’architetto Manuel Cervantes Cespedes e del suo studio CC Arqhitectos rispettando la topografia della zona, utilizzando materiali locali e binari ferroviari recuperati.

CASE IN MESSICO: IL GIARDINO DI CASA CORMANCA

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IL PROGETTO DI EL MIRADOR

Il volume, realizzato con binari del treno riciclati come materiale da costruzione, si mimetizza nel paesaggio e si adagia sul terreno seguendone l'andamento. In questo modo sono stati creati due accessi a quote differenti: uno per i cavalli e per le auto, e uno esclusivamente pedonale. La planimetria segue uno sviluppo prevalentemente longitudinale con orientamento Nord-Sud. Tre prospetti risultano quasi completamente ciechi mentre la facciata, che guarda verso Ovest, si contraddistingue per la presenza di ampie aperture che inquadrano il panorama selvaggio circostante.

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Gli spazi abitativi si sviluppano su di un unico livello. Al centro si trova l’ampio salotto, mentre sui lati sono collocati da una parte la cucina e i locali di servizio e dall’altra una camera matrimoniale con un bagno privato. Una scalinata mette in comunicazione l’autorimessa, che si trova al livello superiore, con la zona giorno che si estende anche verso il terrapieno dove è stato ricavato un secondo soggiorno all’aperto. Inoltre, sulla copertura piana del livello abitato è stato ricavato un bacino di acqua piovana che termina in un abbeveratoio per i cavalli.

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I muri di sostegno sono in pietra locale, mentre l’acciaio utilizzato proviene dallo smantellamento di una linea ferroviaria: traversine e binari si sono trasformati in elementi che definiscono il profilo e le aperture della casa. Tutti i rivestimenti sono in legno: rovere bianco per gli interni, legno non trattato per i prospetti esterni.

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Progetti mai realizzati: i più affascinanti

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Oltre alle meravigliose architetture realizzate in tutto il mondo nelle varie epoche storiche che i più riconoscono e amano, vi sono molti progetti di famosi architetti che tali sono rimasti, affascinanti e meravigliosi disegni di edifici pensati ma mai costruiti, a volte un po’ estremi, di cui vi presentiamo una carrellata nell’infografica creata da RubberBond.

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Cenotafio di Newton (o Mausoleo di Newton) - 1784

Il progetto del Cenotafio di Newton, anche detto mausoleo di newton, è un progetto in stile utopico di Etienne-Louis-Boullée che risale al 1784. È un caposaldo dell’architettura rivoluzionaria e l’opera più celebre dell’architetto francese, costituita da una grande sfera alta oltre centocinquanta metri che doveva contenere una sfera armillare, o astrolabio sferico, cioè un modello della volta celeste.

Pyramid of Death - 1829

L’architetto londinese Thomas Wilson progettò questo mausoleo in stile egizio nel 1829, da collocare in cima a Primrose Hill. La struttura della Pyramid of Death avrebbe dovuto contenere cinque milioni di salme ma, fortunatamente, i londinesi bocciarono l’idea.

Watkin’s Tower - 1891

Progettata nel 1891 da Edward Watkin e ispirata alla Torre Eiffel di Parigi, la Watkin's Tower doveva diventare la “Grande Torre di Londra”. I lavori furono iniziati ma mai portati a termine anzi, ciò che era stato realizzato, fu demolito nel 1907. Il luogo è attualmente occupato dal Wembley Stadium.

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Beacon of Progress - 1900

È del 1900 il progetto del Beacon of Progress di Désiré Despradelle per la città di Chicago, formato da tredici obelischi uniti, pensato per simboleggiare le tredici colonie che fondarono gli Stati Uniti d’America. Questo imponente monumento doveva raggiungere un’altezza di 457 metri.

Imperial Monument Halls and Tower - 1904

L'Imperial Monument Halls and Tower è un grandioso complesso in stile gotico degli architetti John Pollard Seddon e Edward Beckitt Lamb, da realizzare a Londra vicino alla Westminster Abbey.

Globe Tower - 1906

Nel più grande parco di divertimenti al mondo, a Coney Island, l’architetto Samuel Friede progettò, nel 1906, la Globe Tower, un'enorme sfera che doveva ospitare, a quarantacinque metri di altezza, un giardino pensile, un ristorante, un teatro, una pista di pattinaggio e una sala bowling. Non solo: a settantacinque metri di altezza ci sarebbe stato un ippodromo con cinquemila posti a sedere e, a novanta metri, un’enorme sala da ballo, un ristorante girevole circondato da vetrate panoramiche e un lussuoso hotel.

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Hotel Attraction - 1908

Sull’isola di Manhattan, a New York, Antoni Gaudì fu incaricato, nel 1908, di realizzare un grande albergo, conosciuto anche come Grand Hotel, sulla stessa area dove poi furono costruite le Torri Gemelle del World Trade Center. Lo pensò con una forma conica circolare, simile a una navicella spaziale alta 360 metri. Il progetto dell'Hotel Attraction venne però abbandonato a causa delle complicazioni finanziarie e tecniche per la sua costruzione.

Torre di Tatlin - 1919

La torre di Tatlin è stata il tentativo di realizzare un primo esempio di monumento dinamico perché Vladimir Evgrafovi Tatlin, uno dei fondatori del Costruttivismo, la concepì come una costruzione girevole in traliccio metallico, alta 400 metri e formata da due spirali in senso contrario che circoscrivono un volume conico. A causa di una repressione culturale sempre più crescente, il governo russo abbandonò le proprie idee di propaganda artistica e l’opera rimase solo un progetto.

Grattacielo sulla Friedrichstraße - 1921

Per la città di Berlino, il grande Ludwig Mies Van der Rohe progettò per un concorso del 1921 il grattacielo sulla Friedrichstraße, edificio dalla pianta cristalliforme, per richiamare l’ideale espressionista dell’architettura del vetro, immaginando l’edificio senza una vera cornice strutturale.

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Wolkenbügel ( o "Staffa delle nuvole") - 1923

La “staffa delle nuvole”, progettato nel 1923 per la città di Mosca da El Lissitzkij, doveva essere un enorme edificio per uffici. Pensato come un’antitesi critica verso il grattacielo capitalistico e il potere classico, il Wolkenbugel doveva essere sorretto da pochi puntelli, dando l’impressione di galleggiare orizzontalmente nello spazio, come in assenza di gravità.

Cattedrale Cattolica romana - 1929

Nel 1929, a Sir Edwin Lutyens fu commissionato il progetto per una nuova cattedrale cattolica a Liverpool. Il grande edificio in mattoni e granito, sormontato da alcune torri e una cupola, fu iniziato nel 1933 ma il cantiere chiuse durante la seconda guerra mondiale e non fu più riaperto per la mancanza di finanziamenti.

Palazzo dei Soviet - 1931

Il concorso per realizzare un centro congressi e amministrativo a pochi passi dal Cremlino a Mosca fu vinto da Boris Iofan, che disegnò un edificio dalle linee neoclassiche. Poi il progetto per il Palazzo dei Soviet fu rielaborato da Vladimir Shchuko e Vladimir Gelfreik, ripensandolo come un grattacielo che, all’epoca, doveva diventare il più alto del mondo. I lavori cominciarono nel 1937 ma presto interrotti per problemi tecnici, mancanza di fondi e, infine, per lo scoppio della guerra mondiale.

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Phare du Monde - 1937

A Parigi, in occasione del World Fair nel 1937, doveva essere realizzata questa torre di osservazione alta 701 metri su progetto di Eugène Freyssinet. Poiché il costo stimato per la costruzione del Phare du Monde era di due milioni e mezzo di dollari, l'opera non fu mai realizzata.

Volksalle ( o "Sala del Popolo") - 1938

La “Sala del Popolo” è un grande edificio a cupola voluto e ideato nel 1938 da Adolf Hitler e Albert Speer, architetto del Terzo Reich. La Volksalle doveva far parte di un progetto urbanistico più grandioso che avrebbe trasformato Berlino in Welthauptstadt, Capitale Universale. Come buona parte del piano di Speer, la struttura non fu mai realizzata.

Huntington Hartford Sports Club - 1947

Tra i progetti di Frank Lloyd Wright, l'Huntington Hartford Sports Club (1947) è stato fra i più intriganti e fantasiosi, ma irrealizzabile per gli ostacoli incontrati. Una struttura a fungo, in cima alle colline di Hollywood, doveva ospitare un resort per duemila membri del club, ma i residenti locali si opposero fortemente alla realizzazione, giudicandolo una mostruosità e prevedendo un aumento del traffico inaccettabile.

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Grattacielo Illinois - 1956

Di Wright è anche il Grattacielo Illinois, forse il suo progetto irrealizzato più famoso. Concepito nel 1956, quando il grande architetto aveva quasi novant’anni, con i suoi 528 piani di acciaio e alluminio, l'edificio doveva svettare sulla città di Chicago. In esso avrebbero trovato posto centomila impiegati, quindicimila posti auto e centocinquanta piazzole per elicotteri.

Manhattan Dome - 1960

Negli anni ’60 all’ingegner Buckminster Fuller e all’architetto Shoji Sadao venne in mente l’idea della Manhattan Dome, cioè una copertura di 3200 metri di diametro per ricoprire l’intera Manhattan, riducendo in questo modo l’inquinamento atmosferico, i costi di raffreddamento in estate e riscaldamento in inverno.

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Guggenheim Museum di Guadalajara - 2004

Il sesto museo della Fondazione Guggenheim, da completare entro il 2011, avrebbe dovuto avere sede nella città messicana di Guadalajara, all’interno del parco Mirador Independencia, con una torre alta 180 metri. Il progetto redatto nel 2004 dall’architetto Enrique Norten, dello Studio TEN Arquitectos, fu annullato nel 2009.

Shimizu Mega-City Pyramide - 2004

Nel 2004 Shimizu Corporation ha proposto la costruzione di un’enorme piramide affacciata sulla baia di Tokyo, che potesse ospitare circa ottocentomila persone. La struttura tridimensionale aperta in materiale tubolare, di una grandezza dodici volte superiore alla Grande Piramide di Giza, dovrebbe rispondere alla crescente mancanza di spazio della città. All’interno della Shimizu Mega-City Pyramide troverebbero spazio una ventina di grattacieli di ottanta piani ciascuno e non è detto che nei prossimi anni questo progetto non sia realizzato.

Isola di Cristallo - 2008

Non ha avuto esito positivo la creazione dell'Isola di Cristallo del celebre architetto Norman Foster per la città di Mosca, un’immensa piramide di cristallo a petali, come un fiore capovolto. Doveva essere l’edificio ecosostenibile più grande del mondo da realizzare entro il 2014, con un’altezza di 450 metri e un diametro alla base di 700 metri. Al suo interno novecento appartamenti, un albergo, un teatro, un complesso sportivo, cinema, musei e una scuola internazionale per cinquecento studenti.

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Nakheel Tower - 2009

Concludiamo questa rassegna con la Nakheel Tower, il gigantesco grattacielo progettato da Woods Bagot per Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, ma annullato nel 2009 per una grossa crisi finanziaria. Con i suoi 228 piani e un’altezza di 1400 metri, trentadue ascensori, appartamenti extra-lusso, ristoranti, cinema e hotel, sarebbe stata una delle più imponenti strutture mai realizzate.

Grattacieli: premiati i più sostenibili e sperimentali

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Eclettiche, visionarie, ecofriendly. Le costruzioni high-rise premiate con cadenza annuale nell’ambito dell’eVolo Skyscraper Competition sono sperimentazioni avanguardistiche sul tema delle reciproche coniugazioni fra grattacielo, comunità e ambiente circostante.

Indetto dall’omonimo magazine, il concorso si pone l’obiettivo di ridefinire il design della verticalità con soluzioni up-to-date dal punto di vista del design, della tecnologia e della sostenibilità.

Nessun limite viene posto, né alla prefigurazione di un candidato ideale, né all’idea, né alla scelta del sito.

Possono infatti partecipare architetti, studenti, ingegneri, progettisti e artisti di tutto il mondo. E non dobbiamo stupirci se fra i risultati possiamo trovare grattacieli capaci di autoriprodursi o fluttuanti nella stratosfera.

In copertina: Unexpected Aurora in Chernobyl dei cinesi Zhang Zehua, Song Qiang, Liu Yameng.

CITTÀ VERTICALI: I GRATTACIELI DI HONG KONG

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I NUMERI DELLA COMPETIZIONE

L’appuntamento con l’annuncio dei vincitori è un evento sempre molto atteso. Qualche cifra: 480 i progetti pervenuti nell’edizione 2015, 3 i vincitori e 15 le menzioni d’onore; dal 2006, anno della prima edizione, 6.000 i progetti partecipanti. Un numero eccezionale, che fa riflettere su come la tensione verso l’alto permei l’azione di una notevole quantità di progettisti.

Tuttavia se i numeri sono sorprendenti ancora di più lo è la varietà di soluzioni di grattacielo proposte, di cui le premiate sono visualizzabili sul sito si eVolo.

I VINCITORI

Queste sono alcune tra le idee più originali selezionate dalla giuria (costituita da Massimiliano Fuksas, Michael Hansmeyer, Richard Hassell, Alvin Huang, Yong Ju Lee, Wenchian Shi, Wong Mun Summ, Benedetta Tagliabue).

Essence

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Megastrutture urbane come “Essence”, il progetto classificatosi al primo posto, del team polacco BOMP di Ewa Odyjas, Agnieszka Morga, Konrad Basan, e Jakub Pudo; la notevole altezza con cui impone la propria presenza nello skyline si lega a due aspetti principali: da una parte è manifestazione formale del suo ruolo di icona, dall’altra deriva dalla funzione di contenitore artificiale di una sovrapposizione così varia di habitat (montagna, ghiacciaio, deserto…).

L’ambiguità del nome può ingenerare un dubbio. Il titolo del progetto vuole infatti richiamare l’universale natura degli elementi appartenenti a uno stesso genere –rimandando così ai molteplici significati dell’essenza – oppure è stato ispirato dal mix di atmosfere ricreato nell’innovativo giardino nascosto all’interno?

Shanty-scraper

Edifici da costruire riutilizzando detriti, come lo “Shanty-scraper”, ideato secondo l’ottica di considerare anche le necessità abitative dei poveri, quindi utilizzando materiali di scarto degli slums indiani e tecniche a basso costo. Un principio che nel contesto indiano ricorda Laurie Baker e ancor più direttamente Gandhi secondo cui tutti i materiali da costruzione devono essere trovati entro 5 miglia da dove si costruisce e che ha valso l’assegnazione del secondo premio a Suraksha Bhatla e Sharan Sundar.

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Cybertopia

Cybercultura, Cyberspazio, Cybercultura …e da oggi anche “Cybertopia”. Se la simbiosi uomo tecnologia ormai investe ogni spazio vitale, perché non estenderla anche alla pianificazione di una utopica città del futuro che di tale progresso è diretta espressione? Cybertopia è il progetto classificatosi al terzo posto, un mix fra dimensione digitale e fisica ideato dal russo Egor Orlov come un organismo che si trasforma in funzione delle necessità dell’abitante.

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ALCUNE DELLE IDEE MENZIONATE

Unexpected Aurora in Chernobyl”, che i cinesi Zhang Zehua, Song Qiang, Liu Yameng hanno strutturato sull’ipotesi di riabitare un sito radioattivo come se fosse un Giardino dell’Eden da cui far ripartire la vita attraverso sistemi di purificazione dell’aria e dell’acqua e di sfruttamento dell’energia solare per provvedere al fabbisogno energetico;

Noah Oasis: Rig to Vertical Bio-Habitat” dei cinesi Ma Yidong, Zhu Zhonghui, Qin Zhengyu, Jiang Zhe, piattaforme petrolifere trasformate al fine di ripristinare un eco-sistema danneggiato essendo al tempo stesso assorbitori del petrolio sversato, basi per la vita del mare e degli uccelli migratori e ripari da possibili futuri disastri;

Bio-Pyramid”, che il gruppo statunitense di David Sepulveda, Wagdy Moussa, Ishaan Kumar, Wesley Townsend, Colin Joyce, Arianna Armelli, Salvador Juarez ha sviluppato riflettendo sul ruolo assunto dalla permacultura nel contrastare la desertificazione conseguente ai  cambiamenti climatici.

Ed inoltre: strutture sopraelevate per salvare le sottostanti zone umide, edifici le cui pareti sono studiate sul modello della pelle di un organismo vivente, laboratori per elaborare dati sull’atmosfera, edifici che sfruttano le nuvole per fornire un equilibrio alla Terra, microcosmi artici che rispettano l’equilibrio fra ambiente naturale e costruito e grattacieli studiati per garantire la preservazione della diversità delle specie.

A COSA SERVE UN GRATTACIELO?

Scorrendo la selezione progettuale indipendentemente dalla reale fattibilità delle soluzioni quindi scaturisce una serie di interrogativi sul grattacielo del 21° secolo.

Come si è evoluta nel tempo l’idea del “Sogno verticale”, che è sempre stata nell’immaginario collettivo fin dalla Torre di Babele? Che cos’è oggi un edificio che sfida sostenibilmente la verticalità? Che ripercussioni spaziali, estetiche, sociali, culturali, economiche, tecnologiche scaturiscono dalla costruzione di un grattacielo? Quali sono le concrete possibilità che un sistema urbano ed architettonico complesso possa -attraverso l’implementazione di innovativi programmi, tecnologie e materiali- realmente risolvere i problemi derivanti da inquinamento, crescita demografica, scarsità di risorse e migliorare la qualità di vita dell’individuo e della collettività?

In sintesi, a cosa serve un grattacielo oggi?

Quando a Costantin Brancusi fu chiesto quale fosse la funzione della sua Endless Tower nel parco di Targu-Jiu egli rispose: “Serve per sostenere le volte del paradiso”.

Le risposte ai quesiti posti invece non sono né così dirette né univoche. L’obiettivo del concorso è ogni anno quello di tentare di fornire una soluzione a tali interrogativi con proposte tanto anticonvenzionali da non essere riconducibili a una tipologia standard.

La prima casa carbon positive prefabbricata in Australia

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Lo studio di architettura australiano ArchiBlox ha recentemente presentato la prima casa-prefabbricata carbonio positiva, ricco di funzioni eco-compatibili, pronta per il lancio. Si tratta di un’abitazione accogliente e dal taglio contemporaneo, composta come una casa mobile sigillata all’interno di una struttura ermetica di 800 metri quadri che "blocca" all’interno l’aria fresca, mantenendo lontano il calore intenso.

EDIFICI LOW-CARBON: THE CUBE AD HONG KONG

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La casa carbon positive è stata progettata per massimizzare il guadagno solare, attraverso strategie e metodi di progettazione passiva, grazie anche alla presenza di un doppio vetro da soffitto a pavimento. Evitando di basarsi sul raffreddamento ed il riscaldamento meccanico, questo sistema favorisce la ventilazione naturale, utilizzando tubi a terra per permettere il passaggio all’interno dell’aria fredda. L’edificio prefabbricato australiano è sormontato da un tetto verde, che favorisce l’isolamento, e presenta una serie di pareti scorrevoli che permettono di ombreggiare e raffreddare le varie zone durante i periodi più caldi.

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La casa è esposta a nord, e divisa in due parti principali: la veranda a doppio vetro che funge da zona tampone ed attraversa la larghezza della struttura, e l'abitazione nascosta dietro la veranda sul lato sud. Lo spazio abitativo è compatto e costituito da una pianta aperta per la zona pranzo e cucina da un lato, e un bagno e camera da letto, dall'altro; l'area privata è separata dallo spazio comune da una parete mobile modulare.

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Gli interni sono separati con pannelli in legno luminosi ed ariosi, e composti di materiali provenienti da fonti sostenibili e non tossici; gli elettrodomestici sono ad alta efficienza energetica, rendendo possibile il riciclo dell'acqua piovana.

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La casa che accoglie la comunità locale e favorisce l'interazione

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Make Architecture ha progettato una nuova e giocosa estensione per una famiglia a Melbourne: si tratta di una struttura a capanna, inserita in un vecchio bungalow, che permette di creare un secondo ingresso che collega, attraverso un elegante laboratorio garage, il passaggio per i vicoli posteriori, destando l’attenzione della comunità locale proprio perché viene creato uno spazio dedicato alle interazioni sociali, e che anzi invita a incrementarle.

La sensazione è quella di un hub di comunità, che grazie a divertenti elementi in legno, potrebbe essere costantemente invaso da flussi di giocosi visitatori.

IL CENTRO POLIFUNZIONALE PER UNA COMUNITÀ DI 500 ABITANTI

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Questa estensione della casa destinata alla comunità è stata disposta su un lato in modo da permettere l'ingresso della luce naturale con aperture allo spazio esterno su cui si affacciano le zone del living. In questo modo, anche nelle camere da letto e delle zone più riservate, è stata creata un’alternanza ed una ricchezza di texture naturali che favorisce la commistione con questa struttura. Inoltre i pannelli angolari consentono di mitigare l’intenso sole australiano, garantendo la privacy agli occupanti ed ai vicini, senza sacrificare la vista sul tetto.

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Stando in piedi in cucina si ha la sensazione di essere nell’ultimo caffè alla moda; i soffitti scuri e le cucine di falegnameria passano in secondo piano. Le superfici in calcestruzzo ed i mattoni rossi dell’edificio esistente vengono evidenziati da macchie di colore giallo.

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Vi è un camino esterno che può favorire occasioni di incontro e di scambio gastronomico e conviviale; la lunga panca ed i sedili incoraggiano all’incontro ed al relax.

La parte posteriore della casa presenta un’alta qualità di finitura, nello spazio dello studio e del garage. Una piccola veranda collega lo spazio pubblico, invitando i passanti a fermarsi ed interagire.

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Kengo Kuma e la sfida della grande casa per la comunità locale

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Un edificio polivalente al servizio della comunità quello progettato da Kengo Kuma & Associates a Towada, nella prefettura di Aomori in Giappone.

Kengo Kuma e il suo negozio di dolci

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UNA GRANDE CASA PER LA COMUNITÀ LOCALE

Il Towada community center nasce dalla volontà di creare un struttura in grado di accogliere molteplici attività al servizio della popolazione, 1800 mq di spazio sociale per la comunità locale, con aree per il gioco, aree polivalenti e ricreative.

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All’esterno risulta chiaro il richiamo alla forma delle classiche abitazioni con tetto a falda, la volontà del progettista è di integrare l’edificio con l’intorno e con il costruito, l’edificio deve confondersi con le piccole case circostanti, integrarsi ed interagire con il contesto. Come se fosse una grande casa a servizio della collettività.

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Dall’ingresso principale si accede ad una hall che serve gli spazi delle principali attività:  gli spazi per uffici, una piccola ala per accogliere esposizioni temporanee, aule polivalenti ed infine le stanze tatami, in puro stile giapponese, e la cucina adiacente alla stanza per il gioco riservata ai più piccoli.

Proprio quest’ultimo spazio è di grande interesse in quanto fonde l’architettura con il gioco. Il pavimento diventa uno strumento per caratterizzare non solo lo spazio, ma anche l’attività stessa da svolgersi all’interno della stanza. Un vero e proprio spazio interattivo in cui il pavimento in legno cresce verso l’alto, creando salti di quota come piccole colline dall’andamento ondeggiante sulle quali i bambini possono salire e con i quali possono divertirsi giocando. Un luogo creato su misura per loro, che a piccoli passi possono interagire con l’architettura.

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LEGNO PER ESTERNI ED INTERNI

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Il materiale prevalente, sia in facciata che come rivestimento di interni è il legno. L’edificio esternamente risulta composto di due materiali prevalenti: grandi lastre di vetro a tutta altezza ricoperte parzialmente da listelli di legno che permettono di filtrare la luce e di controllare il surriscaldamento degli ambienti. I lunghi e stretti listelli di legno conferiscono un senso di verticalità alla facciata, mentre all’interno i controsoffitti sono caratterizzati dagli stessi elementi di legno orizzontali, un elemento di design che conferisce omogeneità al progetto e diventa identificativo dell’opera e che ricorre anche nella separazione degli spazi e delle aree tematiche. Lo stile minimalista dai colori neutri: pareti bianche ed elementi in legno chiaro tipici delle architettura giapponese ricorrono anche in quest’opera e si prestano a ricreare uno spazio ed un ambiente familiare, evocando le stesse spazialità e gli stessi cromatismi delle abitazioni.

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La piazza antistante è anch’essa espressione della volontà di connessione tra natura e comunità. Conformata in modo tale da integrarsi con il quartiere e caratterizzata da elementi naturali che generano spazi comuni verdi per il tempo libero. Portando quindi anche all’esterno ed all’aria aperta le attività di svago e relax.

La volontà di integrare attività ludiche e ricreative in un edificio che richiami la forma e l’accoglienza di una casa, permettono di generare uno spazio sociale familiare, in cui gli abitanti possono sentirsi partecipi ed interagire tra loro come se fossero una grande famiglia. Un intervento di piccole dimensioni ma dal grande valore sociale.

Recupero sostenibile: la casa-studio nella fabbrica dismessa

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A nord est di Philadelphia, nel quartiere di Fishtown, è stato recuperato sapientemente dallo studio Bright Common uno dei vecchi magazzini industriali, ora adibito a residenza-studio del fotografo Jaime Alvarez.

LA FABBRICA DI OROLOGI DIVENTA SCUOLA

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L’area, di matrice fine ottocentesca, è stata dismessa alla metà del ventesimo secolo, diventando appetibile per un nuovo uso. 

Saper immaginare il proprio studio e il proprio ambiente di vita in una ex fabbrica di sottaceti, prevede una grande capacità di immaginazione. Il fotografo e la sua compagna, Leah Shepperd, si sono innamorati dei locali e hanno deciso di affidare allo studio locale Bright Common la ristrutturazione, dando preciso mandato di accostarsi al manufatto in ottica sostenibile, concependo la rinascita dell’edificio di pari passo con il recupero di alcuni materiali ed elementi.

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L’ex fabbrica di sottaceti in Fishtown aveva una struttura abbastanza ampia per ospitare sia un ambiente domestico che un ufficio. Lo spazio a disposizione era talmente vasto da poter ospitare una campo di bocce. E non è solo una battuta. L’essenzialità e la sostenibilità dell’intervento partono dalla cucina: il piano è stato realizzato grazie al recupero di una pista da bowling.

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Per ridurre al minimo il consumo di acqua ed energia, sono state installate pompe ad alta efficienza per il riscaldamento e il raffreddamento, illuminazione a LED, tubature a basso flusso, un impianto fotovoltaico sul tetto e, la struttura è stata coibentata tramite pareti super isolate, quasi ermetiche. La luce naturale del giorno e la ventilazione attraversa i piani grazie a un sistema di lucernari che rende superflua per le ore diurne l’ausilio illuminazione artificiale. Per completare l’opera, hanno deciso di installare elettrodomestici eco-friendly.

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L’edificio, nelle immediate vicinanze ai mezzi pubblici, sfrutta anche la sua posizione strategica in città per facilitare i proprietari a seguire l’indirizzo “meno emissioni”, scoraggiando il ricorso all’auto privata.

Quasi tutti gli arredi sono su ruote e facilmente adattabili a un nuovo assetto, rispettando un’origine industriale che, qualche inserto, rivendica.

Tecnica e recupero intelligente hanno permesso una rigenerazione buona e virtuosa dell’edificio.

Dryline: un progetto “BIG” per salvare Manhattan

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“Un’opportunità, una soluzione tangibile agli effetti dannosi dei cambiamenti climatici” così è stata definita la Dryline, il progetto di BIG, Bjarke Ingels Group per Manhattan dalla giuria del Global Holcim Award. Il progetto, che si è guadagnato il terzo posto, nasce dalla necessità di far fronte ai mutamenti causati dai cambiamenti climatici, attraverso sistemi intelligenti capaci di unire la funzione pratica ad un modo diverso di vivere la città e i sui spazi.

RIQUALIFICAZIONE URBANA: I POPS DI NEW YORK 

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BARRIERA O LEGAME?

L’approccio progettuale di BIG al progetto per Manhattan si basa sull’ambizioso principio di creare una barriera tra la città e l’acqua che non si ponga nei termini di un limite, ma che al contrario abbracci le due entità per creare una relazione dalla quale emergono situazioni e opportunità diverse. Ed è proprio la diversità degli spazi che vengono a crearsi che rendono interessante il legame tra lo spazio urbano e l’infrastruttura di difesa.

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Lower East Side

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Il cosidetto quartiere a basso reddito è stato sicuramente una delle sfide più importanti per la natura del luogo. Nato come una sorta di cementificazione e separato dal lungomare da un’imponente autostrada a sei corsie, non avrebbe di sicuro attratto investimenti importanti, ma il progetto, che prevede la realizzazione di nuovi punti panoramici e di nuovi spazi per lo sport ed il tempo libero, porterebbe ad un sensibile miglioramento della qualità della vita. Il Lower East Side si configura come una sorta di zona ludica dove assieme ai campi da gioco trovano spazio piscine all’aperto, percorsi pedonali e piste ciclabili nell’ottica di muoversi all’interno di un grande parco urbano lineare, una sorta di polmone attrezzato dell’isola.

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Ponti di Brooklyn e Manhattan

L’area tematica di Manhattan più a sud sposta la sua attenzione verso un’urbanità più presente ed è qui che lo studio BIG trova spazio per le attività quotidiane del commercio e del mercato che sfruttano spazi di risulta dell’ambiente metropolitano, trasformandoli e arricchendoli di vitalità e centralità. Un principio che lavora sul tema della rigenerazione urbana sfruttando lo spazio che già c’è e che deve essere riqualificato.

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Punta sud  

La parte più estrema dell’isola di Manhattan è affidata alla cultura, alla scoperta, alla conoscenza e ospiterà il nuovo Museo Marittimo con uno scenografico acquario naturale. È qui che il rapporto con l’acqua diventa fortissimo e dove la volontà di abbracciare il mondo terrestre a quello marino si fa più forte. Accettare il cambiamento e collaborare con esso è la strada per creare un sistema più complesso che non sia solo la grande opera.

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L’uragano Sandy che nel 2012 ha colpito New York ha aperto gli occhi sul tema dei cambiamenti climatici. I problemi, le mutazioni ed i sistemi di mitigazione ed adattamento che le città di un futuro poco lontano dovranno affrontare mettono in gioco tematiche interessanti anche dal punto di vista progettuale; è proprio là, dove il tema della sostenibilità si fa più forte, che il progettista deve dimostrare di avere una marcia in più e di saper lavorare per creare sistemi al servizio della città. Il cuore della sostenibilità si trova a livello urbano, perché è la città che muove gli aspetti dell’ambiente, dell’economia e soprattutto della socialità.

L'edificio plasmato dal vento sul mare della Tasmania

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Il complesso residenziale Prince Street 29-35, firmato dallo studio australiano Angelo Candalepas and Associates, si affaccia sulla splendida baia turistica Bate Bay a Cronulla, la penisola a circa 15 chilometri dall’aeroporto di Sidney, lambita dal mare di Tasmania. 

AUSTRALIA: LA CASA ROTANTE CHE SEGUE IL SOLE

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LA FILOSOFIA PROGETTUALE

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L’approccio progettuale dell’architetto Candalepas è fondamentalmente plastico e ce lo spiega così:

"When I look at the original sketches, this time in the form of models, this work can now be understood by me to mean precisely that which was originally foreshadowed through observations from the outset. The initial sketch in model-form enables us to look back from the now known experience of the building and see with clarity that those early intentions were the correct ones."

"Quando guardo le bozze originali, ora in forma di plastici, questo lavoro finalmente significa per me esattamente ciò che in origine era solo una premonizione emanante dalle osservazioni dell’inizio dei lavori. La bozza iniziale, in forma di plastico, consente di guardare retrospettivamente dall’esperienza dell’edificio -ora nota- e vedere chiaramente che le intenzioni, dei primi stadi, erano quelle giuste."

IL PROGETTO DI PRINCE STREET 29-35

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L’edificio, costruito nel 2012, si affaccia sulla strada del lungomare con proporzioni calibrate alla scala dell’intorno, mentre le sue forme rievocano il dinamismo delle forze naturali che hanno plasmato il luogo: un complesso di dune primarie formate dall’azione impetuosa, del vento e del mare, sui candidi granelli di sabbia, i quali si accumulano in prossimità del primo ostacolo naturale intercettato lungo la costa. Nella fase iniziale della loro genesi le dune sono prive di vegetazione, quindi molto instabili, e per questo vengono chiamate primarie. Così come ci racconta Candalepas, l’edificio è stato concepito per riflettere la dinamica naturale che ha edificato il luogo. Per gli studiosi del paesaggio naturale risulterà chiara l’evoluzione dinamica della duna primaria, la quale, con il trascorrere del tempo, giunge alla fase terziaria di stabilizzazione passando per la fase secondaria, caratterizzata dall’insorgere della vita, ovvero delle cosiddette macchie di  brughiere e di arbusti. La forza plasmante del vento dominante, dunque è il Genius Loci del processo progettuale, simile a quello di selezione darwiniana, secondo cui sopravvivono gli organismi più resistenti, in definitiva perfetti per il contesto. 

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L'orizzontalità appare come l’elemento ordinatore e connotante del progetto in tutta la sua purezza formale e materica. L’attacco a terra è articolato in quelli che egli ha definito "istmi", che ci ricordano la geometria della penisola di Cronulla; essi assumono la funzione di foyer d'ingresso per quattro unità abitative e per ognuno dei tre livelli fuori terra. Sono spazi che per la loro conformazione captano l’odore del mare e il rumore del vicinato regalando una sensazione particolarmente vitale.

Le istanze di funzionalità della vita quotidiana sono affrontate in maniera semplice: un lungo soggiorno è pensato come il “polmone” dell’unità abitativa in quanto consente all'aria di fluire direttamente, da est a ovest, grazie ad una ventilazione passiva che, sfruttando la brezza marina, trapassa l’edificio da fronte a fronte. Accanto alla zona giorno, vi sono due camere da letto e una stanza di servizio. In altri termini, la disposizione strutturale consente di allestire gli spazi in modo flessibile.

Secondo l’idea del progettista l’edificio è stato concepito per poter essere ripetuto per tutta la lunghezza di Prince Street, la strada da cui è diviso dalla spiaggia. Da entrambi i fronti l’edificio presenta una composizione armoniosa e diafana, una successione di linee verticali e orizzontali. Il tema “di che cosa è costituito l’edificio” secondo Candalepas può essere così riassunto: pochi materiali costruttivi scelti dal campionario locale, in base alle migliori caratteristiche di durabilità, come ad esempio il legno, il cemento e il vetro che portano nel loro DNA la sabbia. 

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Il design passivo dell’edificio tiene conto della fruibilità degli spazi esterni, in una varietà di modi, per garantire il comfort degli abitanti durante le condizioni atmosferiche prevalenti, venti caldi dal nord e freddi dal sud. Pertanto, tutti gli appartamenti sono dotati sia di un ampio balcone esposto a sud-est con vista sul mare e sia di una loggia vetrata -una sorta di bow-window- esposta a nord-ovest.

Le finiture esterne dell'edificio sono state studiate per resistere agli agenti atmosferici, particolarmente duri lungo la prima linea costiera. Il risultato ricercato è stato ottenuto con un elevato livello di finitura materiale del getto di cemento armato, del legno degli schermi solari e dell’ottone. Le patine superficiali dovute all’invecchiamento, secondo Candalepas, conferiscono ai materiali scelti un cromatismo unico e naturale.

La struttura dell’edificio, realizzata in candido cemento armato gettato in opera, ha una elevata massa termica per soddisfare i requisiti di comfort passivo durante tutto l’anno. D’inverno trattiene il calore, mentre d’estate consente un importante sfasamento dell’onda termica. Secondo i progettisti australiani il calcestruzzo ecologico è un materiale che presenta due grandi vantaggi ambientali: ingloba una forte componente di cenere volatile degli scarti industriali (poiché le specifiche tecniche nazionali lo consentono, come in EU, n.d.t.) e in fine aumenta la durabilità e la resistenza del materiale stesso. Le ampie vetrate motorizzate in tutte le facciate, si combinano con schermature solari in legno per conferire un eccellente comfort passivo termico e visivo in tutte le stanze grazie ad una ventilazione trasversale e ad una buona illuminazione naturale.

Caratterizzano una facciata mutevole e, nel contempo, funzionale al comfort dei residenti gli schermi solari motorizzati, in scintillante ottone lucido che rievocano il riflesso della luce del sole sulle creste delle onde che lambiscono la spiaggia costiera. Gli schermi sono stati studiati per assolvere alla doppia funzione: smorzare l’intenso sole australiano e l’impetuoso vento che soffia dall’oceano.

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SCHEDA RIASSUNTIVA DEL PROGETTO

Nome del progetto:          29-35 Prince Street
Area del lotto:                  2.398 m2
Area occupata:                33% 
Numero di appartamenti:12
Construction cost/m2:      5.000 AUD (3.500 EUR).
Data termine lavori:          novembre 2012.
Tipologia:                         residenziale.
Durata lavori:                   6 mesi la progettazione  e 12 mesi la costruzione.
Architetto:                        Angelo Candalepas.
Studio:                             Candalepas Associates  

Premi conferiti al progetto nel 2013:                                 
National Architecture Award for Residential Architecture by the Australian Institute of Architects.
Austral Bricks Award for Excelence by the Urban Development Institute of Australia.
Aaron Bolot Award for Residential Architecture by the Australian Institute of Architects .

Consulenti esterni:   
Strutture: Taylor Thompson Whitting.
Costruzioni: Kane Constructions.
Paesaggismo: Botanica.
Architettura d’interni: Archer & Wright.
Impianti elettromeccanici: Jones Nicholson.
Impianti idraulici: Whipps Wood Consulting.
Fotografo: Brett Boardman

Alloggi per anziani nella fattoria urbana di Singapore

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La popolazione mondiale sta rapidamente invecchiando (le stime indicano una crescita del 300% entro il 2050), in futuro il cibo potrebbe scarseggiare e la sicurezza alimentare essere messa a rischio. Questi tre problemi, che riguardano molti paesi asiatici, hanno ispirato lo Studio SPARK a presentare un concept di progetto per la città di Singapore che offre alloggi per gli anziani in un luogo stimolante e immerso nel verde, destinato all’agricoltura urbana.

URBAN FARMING. LA NUOVA RIVOLUZIONE CINESE

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Non più tristi case di riposo ma una vera e propria fattoria urbana, la Home Farm, alloggi ad alta densità abitativa integrati a sistemi di coltivazione verticale idroponica e tetti-giardino, che permette ai residenti di avere un’opportunità di lavoro dopo la pensione, collaborando alla crescita della comunità attraverso la coltivazione di orti urbani.

“Abbiamo lavorato a questo concept per la città di Singapore - spiega Stephen Pimbley di SPARK - ma il progetto è replicabile e applicabile in qualunque località che possa sostenere la crescita di vegetali a foglia verde sulle facciate e sui tetti degli edifici. Ci auguriamo che questo progetto si concretizzi in futuro: si tratta di una soluzione a problemi reali e urgenti che molte delle città in crescita nel mondo devono affrontare”.

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Il sistema idroponico è adattato per i giardini pensili, i terrazzamenti, i tetti e le facciate verdi verticali; qui il lavoro degli anziani si svolge sotto la guida di agricoltori professionisti e include tutta la filiera produttiva, dalla semina alla vendita in loco dei prodotti, garantendo sicurezza finanziaria e assistenza sanitaria ai pensionati.

L’edificio utilizza materiali semplici ed elementi modulari, è pensato per essere energeticamente efficiente e sostenibile, con un impianto per la raccolta dell’acqua piovana e il recupero delle acque grigie, un sistema di produzione di energia dai rifiuti e pannelli fotovoltaici.

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Il progetto offre numerosi vantaggi: oltre a garantire uno stile di vita salutare, promuove la sicurezza alimentare e contribuisce alla sostenibilità urbana e ambientale, all’impegno sociale ed economico.

Lo scopo dei progettisti è di trasmettere un forte messaggio sociale e di aprire un tavolo di discussione e confronto sulle potenzialità create dall’unione di due mondi separati, il sostegno di una società che invecchia rapidamente e il miglioramento della sicurezza alimentare.

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Pumphouse Point in Tasmania: il recupero del rifugio sul lago

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Un’ambientazione da sogno quella in cui sorge il progetto di recupero degli australiani Cumulus studio. Il rifugio, oggi attrattiva turistica in Tasmania, è nato dalla riqualificazione dei due edifici esistenti la “Pumphouse” e la “Storehouse”.

LA RISTRUTTURAZIONE DEL RIFUGIO CASERA GIANIN

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La Pumphouse si trova sul lago St. Clair, totalmente immersa nella natura della Tasmania, accerchiata dagli alberi e dalla vegetazione del Parco nazionale, patrimonio mondiale, ha come unico collegamento alla terra ferma una passerella in cemento di 250 metri di lunghezza. Uno scenario suggestivo ed onirico nel quale l’edificio, costruito nel 1940, originariamente afferente alla rete idroelettrica del paese, era in stato di abbandono da più di venti anni. La Storehouse si trova invece sulla riva del lago ed ospitava uffici e un’officina di manutenzione delle turbine.

L’intervento di riqualificazione e ristrutturazione dei due edifici ha permesso di realizzare 18 stanze, la maggior parte delle quali ubicate nella Pumphouse ed il restante nella Storehouse che inoltre ospita la cucina e diversi ambienti comuni come il salone e la zona pranzo.

Data l'ubicazione dei due edifici, per motivi logistici si è optato per elementi prefabbricati e standardizzati.

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L’IMPORTANZA DEL CONTESTO NELLA PROGETTAZIONE

I lavori di riqualificazione hanno interessato principalmente gli interni, mentre per gli esterni si è deciso di mantenere le facciate originarie enfatizzandone il valore storico. L’edificio si eleva su tre piani e vi si accede da un portone in ferro che permette l’accesso al foyer, da cui è possibile raggiungere le stanze distribuite da un corridoio centrale nel quale trovano spazio ambienti comuni di attesa e per il relax. La scelta planimetrica è strettamente legata al paesaggio circostante, aperto alle due estremità il corridoio perde la mera funzione di distribuzione ed assume un valore spaziale superiore fungendo da binocolo sul paesaggio, mantenendo così un collegamento visivo continuo con la natura. In tal modo è come se la passerella che porta dalla terra ferma all’edificio continuasse e terminasse visivamente nella meravigliosa ambientazione che fa da intorno.

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INTERNI IN LEGNO LOCALE E COLORI NEUTRI 

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Gli interni, completamente ripensati e riprogettati per poter ospitare le stanze e gli ambienti comuni del rifugio, sono caratterizzati dall’utilizzo di pochi materiali: legno, metallo e intonaco. Le pareti dell’ingresso e delle aree comuni sono rivestite da legno grezzo non trattato, mentre nelle stanze viene utilizzata una pannellatura più raffinata in legno della Tasmania. Per i dettagli come lampade, corrimano, ecc. viene invece utilizzato il ferro verniciato di nero, e le parti intonacate hanno colori neutri dal bianco al grigio, cercando di creare ambienti accoglienti e rilassanti in cui si possa godere del comfort e del paesaggio visibile da ogni finestra e da ogni stanza.

 


Coltivare nel deserto. Una struttura in foglie di palma per la comunità

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The Sabla è un piccolo mirabile progetto pensato per la comunità di AL Ayn, negli Emirati Arabi,  recuperando la tradizionale tecniche di costruzione con foglie di palma. La struttura, biodegradabile e versatile, nasce come serra per naturale ma si presta a più utilizzi.

In un mondo squassato dai cambiamenti climatici, la desertificazione è un fenomeno potenzialmente devastante per milioni di persone costrette già oggi a convivere con la penuria del bene più prezioso che abbiamo: l’acqua. Intorno ad essa si sprecano le parole, vengono organizzate opulente conferenze internazionali alle quali partecipano le massime autorità governative del pianeta, ma purtroppo latitano le contromisure, serie ed efficaci, nel tentativo di arginare un problema il cui spauracchio aleggia paurosamente anche sul futuro dell’Europa meridionale e dell’Italia.

Stop alla desertificazione con il recupero delle oasi

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Per fortuna, a dispetto della lentezza decisionale di molti governi, le piccole iniziative si moltiplicano, andando a interessare anche paesi dove negli ultimi anni l’acqua, più che per le colture, è stata utilizzata per irrigare enormi campi da golf circondati dal deserto: gli Emirati Arabi. Il progetto che vi presento, infatti, è stato pensato per tutelare l’agricoltura nell’oasi di Al Ayn, Patrimonio dell’Umanità UNESCO, nonché seconda città per dimensioni dell’emirato di Abu Dhabi, sebbene le sue caratteristiche lo rendano facilmente replicabile in molti paesi mediorientali e nordafricani.

THE SABLA

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Stiamo parlando del “Food Shelter” o “The Sabla”, come è localmente chiamata la serra naturale, ecosostenibile e totalmente biodegradabile presentata da Sandra Piesik e “3 Ideas Limited” alla terza conferenza delle United Nations Convention to Combat Desertification (UNCCD) tenutasi in Messico nel marzo scorso. Alla base del progetto convivono obiettivi ambiziosi, quali contrastare la desertificazione, recuperare antiche tradizioni e combattere la povertà, perseguiti mediante una proposta intrisa di valori culturali, economica e dal design accattivante.

LA MILLENARIA CULTURA ARISH

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A dispetto di un paese punteggiato di grattacieli in vetro e acciaio, The Sabla è costruito avvalendosi praticamente di un solo materiale: foglie di palma da dattero. Il loro utilizzo affonda le proprie radici nella secolare tradizione architettonica locale, ed in particolare a più di 7.000 anni fa, quando furono costruite le prime abitazioni Arish. È proprio partendo da un’analisi attenta di queste architetture che Sandra Piesik ha elaborato la sua proposta, mirabile esempio di integrazione di risorse naturali disponibili e sapienza accumulata in millenni di sperimentazione e riscontri pratici.

IL PROGETTO DI FOOD SHELTER/THE SABLA

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Dal punto di vista dimensionale, il progetto consta di 9 calotte modulari di 8x8 metri ciascuna accostate l’una all’altra per un totale di 600 mq di superficie coperta complessiva. La struttura di ogni singolo modulo è ottenuta arrotolando e intrecciando le foglie di palma da dattero, assicurate mediante legacci di corda e successivamente piegate in modo tale da assumere la forma desiderata. Facilità ed economicità nel reperimento di tale materia prima non sono gli unici vantaggi di The Sabla, che può vantarsi di essere interamente biodegradabile, in quanto anche i tessuti di rivestimento sono ottenuti naturalmente, e di non prevedere l’utilizzo di alcun tipo di macchinario in fase di produzione e posa in opera.

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IL CONCETTO DI ADATTABILITÀ

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Oltre che per la coltivazione, questo tipo di struttura può anche essere utilizzato per ospitare edifici scolastici, di assistenza sanitaria ed altre funzioni basilari nella vita di tutti i giorni. Abbondanza di materia prima, facilità costruttiva e progettuale conferiscono a questo “rifugio” spiccate doti di adattabilità e flessibilità, per non parlare del suo inestimabile valore simbolico, fondamentale per sensibilizzare l’opinione pubblica mostrandole orgoglioso come più che i soldi contino le idee e la convinzione di metterle in pratica.

Socialità come misura di sostenibilità: il Learning Hub di Singapore

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Il nuovo compito che ci si propone di affrontare in un’ottica sostenibile è quello di indagare e scoprire il nuovo ruolo dell’architettura contemporanea, attraverso non solo il rapporto con l’ambiente e l’economia, ma anche i moderni sistemi che influenzano ed agiscono sulla socialità, soprattutto in quei luoghi che sono il cuore pulsante delle opportunità dal punto di vista delle idee e delle sperimentazioni.

La sfida è stata accolta dallo studio londinese di Thomas Heatherwick con un progetto concettualmente rivoluzionario per il nuovo Learning Hub della Nanyang Technological University di Singapore.

UNIVERSITÀ DI SINGAPORE: UN CAMPUS VERDE PER GLI STUDENTI

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L’edificio, completato nel marzo 2015, è strutturato in modo tale da abbattere la tradizionale concezione di università, basata su di un’organizzazione a corridoi ed aule, per favorire la creazione di uno spazio di lavoro improntato sulla condivisione. L’idea è promuovere l’interazione casuale tra studenti e professori per generare variabili più interessanti e stimolanti dal punto di vista dell’apprendimento.

LA STRUTTURA DEL LEARNING HUB

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L’edificio è formato da un fascio di dodici torri tubolari collegate tra loro da un atrio centrale sul quale si affacciano tramite ballatoi. Le cinquantasei aule, che si aprono su questo spazio comune, sono gerarchicamente equivalenti, evitando la formazione di spazi avvantaggiati dal punto di vista delle relazioni. Al loro interno l’organizzazione dello spazio è dettata dalla flessibilità, per permettere di volta in volta di gestire lo spazio in maniera efficace in rapporto all’attività. Il distributivo, che mantiene il collegamento visivo tra tutte le aule, può assumere diverse configurazioni diventando, in base alle necessità, parte dell’aula, spazio espositivo o area relax e di conversazione.

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I MATERIALI 

La volontà di combinare sistemi di costruzione locali ha portato alla scelta del calcestruzzo a vista come materiale dominante; ma l’idea principale era quella di far sembrare l’edificio come una sorta di grande blocco in argilla modellato. A tale scopo sugli elementi di risalita sono stati impressi nel calcestruzzo circa settecento disegni raffiguranti temi dell’arte, della scienza e della letteratura, con l’obiettivo anche di favorire uno spunto continuo allo studente.

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TECNOLOGIA GREEN

L’atrio centrale, naturalmente ventilato, favorisce la circolazione dell’aria attorno alle torri e funge da canale per la creazione di una convezione naturale silenziosa all’interno delle aule, le quali riescono a mantenere temperature variabili tra i 25° e i 31°C. Le tecnologie messe in atto per mantenere il comfort delle aree interne hanno permesso all’edificio di ricevere il più alto standard ambientale per un edificio della categoria: il Green Mark Platinum della Building and Construction Authority (BCA) di Singapore.

Nonostante gli sforzi per dare all’edificio un aspetto armonioso, c’è da dire che esso rimane ancora molto crudo esternamente incontrando il parere non sempre favorevole di una critica competente; appare ovvio però che non è l’aspetto esterno a dare peso a questa architettura, e nemmeno la tecnologia messa in gioco, sebbene gli sia valsa il Green Mark Platinum. Ciò che appare importante sottolineare è il carattere sociale dell’edificio che tenta di sperimentare un approccio diverso al tema della sostenibilità.

Architettura sull'acqua: 5 esempi sostenibili

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Vivere sull’acqua è sempre stato un desiderio insito nella natura umana, nei secoli molti popoli indigeni hanno adottato soluzioni abitative galleggianti per proteggersi dalle fiere o dalle piogge incessanti e rimanere a contatto con la natura incontaminata, vicino alle fonti di sostentamento. Come dimostrano questi 5 progetti, l'architettura contemporanea ha saputo rispondere in modo molto particolare a questo ritrovato bisogno di abitare sull'acqua.

Scuola galleggianti in  Nigeria: Le Makoko Floating School

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Al giorno d’oggi si sta sempre più pensando a differenti modi d’abitare, indipendenti dalla terraferma e legati alla sostenibilità ambientale, per la risoluzione di un problema reale come l’aumento della popolazione mondiale e la diminuzione di cibo.

Cinque progetti di architettura sostenibile sull’acqua, dal più piccolo al più grande, da una casa a una città, dimostrano come una tale soluzione si possa adattare a ogni scala, forma, esigenza.

LA CASA SULL'ACQUA

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La casa Waternest di Giancarlo Zema Design Group è una dimora galleggiante con un diametro di dodici metri e un’altezza di quattro; cento metri quadrati per ospitare comodamente quattro persone e produrre energia pulita sufficiente per coprire i consumi, grazie ai pannelli fotovoltaici presenti sulla copertura. La struttura portante è in alluminio e legno lamellare riciclati, gli arredi interni sono ecologici e l’impianto di micro-ventilazione è del tipo a basso consumo. Grazie all’uso di materiali sostenibili, l’abitazione è riciclabile fino al 98%.

LA FATTORIA SEMI SOMMERSA

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Bloom è uno dei più interessanti progetti di fattoria che ondeggia sull'acqua, presentato dagli architetti parigini Sitbon Architectes. Si tratta di una sfera semisommersa ancorata al fondale, del diametro di quarantacinque metri, in grado di produrre fitoplancton, cioè microorganismi che assorbono CO2 e, attraverso la fotosintesi, restituire ossigeno. Può, inoltre, monitorare il livello dei mari in caso di tsunami e avere tutte le attrezzature necessarie per desalinizzare l’acqua marina, producendo acqua dolce per il consumo domestico.

IL PARCO SUL FIUME

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Nel Parco di Rotterdam, in Olanda, la Recycled Island Foundation ha pensato di avviare un progetto per la ripulitura dai rifiuti del fiume Nieuwe Maas, con un macchinario che trasforma la plastica recuperata dalle acque in piattaforme esagonali galleggianti, dove far crescere piante e fiori. Il lato sommerso dell’isolotto serve da appiglio per alghe, piante acquatiche e molluschi; in questo modo si realizzano piccole oasi di verde sfruttando il materiale plastico, impedendogli di raggiungere il Mare del Nord, inquinandolo.

IL QUARTIERE GALLEGGIANTE

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Per uno dei porti più antichi di Amsterdam, Houthaven, è stato progettato un eco-quartiere galleggiante carbon neutral, composto da abitazioni, negozi, scuole, spazi per l’assistenza sanitaria e per il tempo libero. Una serie di penisole che, dalla terraferma, si estendono verso il mare, ospitano gli edifici autosufficienti dal punto di vista energetico, perché dotati di impianti solari, fotovoltaici e minieolici.

LA CITTÀ COME UNA NAVE

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Inizia nel lontano 1995 il progetto americano della Freedom Ship, una mastodontica nave alta venticinque piani e lunga un miglio, una vera città galleggiante in grado di ospitare cinquantamila residenti. Negozi, abitazioni, scuole, ristoranti, giardini, un aeroporto, la mega struttura può sfruttare il moto ondoso, l’energia del sole e del vento per essere autosufficiente. Per gli elevatissimi costi di costruzione e la crisi economica alle porte, il progetto fu abbandonato all’inizio degli anni 2000.

Gli edifici dinamici di Ned Kahn: tra arte, scienza e architettura

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Trattare la pelle di un edificio come un’opera d’arte ideando facciate cinetiche ed allestimenti interattivi ad energia zero è possibile, lo dimostra l’artista americano Ned Kahn che da sempre fa confluire scienza e arte nelle sue opere. Il suo lavoro si basa sull’osservazione dei fenomeni fisici, prendendo ispirazione dalla natura e dal movimento dei fluidi, cercando costantemente di creare un’opera che interagisca con l’ambiente circostante e con gli spettatori.

In copertina: Brisbane Airport Domestic Terminal, Australia,foto di Urban Arts Project.

FACCIATE DINAMICHE: L'AEROPORTO DI BRISBANE

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“Le mie opere spesso incorporano acqua che scorre, nebbia, sabbia e la luce per creare sistemi complessi e in continua evoluzione. Molte di queste opere possono essere viste come "osservatori", nel senso che incorniciano ed esaltano la nostra percezione dei fenomeni naturali -dice l'artista, che continua- Sono incuriosito dal modo in cui diversi pattern possono emergere quando le cose scorrono. Questi modelli non sono oggetti statici, sono modelli di comportamento, temi in natura ricorrenti.”

Ned Kahn raccoglie e divide i suoi lavori in Nebbia, Acqua , Fuoco\Luce, Vento e Sabbia, a seconda del principio da lui utilizzato per creare l’installazione, opere che possono essere allestimenti urbani come intere facciate di edifici.

Ecco alcune delle tante installazioni dell’artista californiano.

CLOUD ARBOR (LA NEBBIA)

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Il Cloud Arbor, ideato nel 2012 in collaborazione con l’architetto Andi Cochran, è un’installazione permanente nel museo dei bambini di Pittsburgh. Una foresta stilizzata fatta di alti pali in acciaio inox contenenti nebulizzatori di acqua che a brevi periodi di tempo permettono di creare una nuvola che appare e scompare dissipandosi lentamente nell’aria e diradandosi tra questi arbusti fittizi, come la nebbia nella foresta. Adulti e bambini possono interagire giocando tra i tubi ed aspettando il momento in cui magicamente apparirà la nuvola, inoltre è un ottimo sistema di raffrescamento urbano nelle giornate più calde.

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SPOONFALL (L’ACQUA)

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Lo Spoonfall è una parete costituita da una griglia metallica nella quale sono integrati 200 cucchiaini da caffè, si trova nella hall dell’Hotel H2 a Healdsburg in California. I cucchiaini posizionati in orizzontale vengono fatti oscillare grazie al riutilizzo delle acque piovane provenienti dal sistema di raccolta in copertura. La caduta dell’acqua genera il movimento dei cucchiaini in parete e produce un suono rilassante simile alle goccioline di pioggia. Un sistema semplice riproducibile facilmente, e soprattutto efficiente per rendere l’ambiente di attesa dell’hotel accogliente ed incuriosire gli ospiti.

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FIREFLY (IL FUOCO E LA LUCE)

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Il Firefly in collaborazione con KMD Architecture è una installazione esterna in facciata realizzata nel 2012, commissionata dalla San Francisco Public Utilities Commission per la nuova sede amministrativa. Posta sulla facciata Nord dell’edificio, a coprire le turbine eoliche, la Firely è composta da un reticolo di migliaia di tessere di piccole dimensioni in policarbonato chiaro, incernierate su un unico lato e libere di muoversi con il vento. I moduli sono tenuti assieme tramite una maglia in acciaio che va ad agganciarsi alla struttura dell’edificio. In ogni trave orizzontale del sistema di supporto è presente un interruttore elettrico connesso al magnete presente in ciascun pannello, in questo modo il vento muove naturalmente gli elementi in policarbonato durante il giorno, generando un effetto simile alle increspature delle onde, mentre la mattina e la sera, tramite il magnete, si può aprire e illuminare momentaneamente con dei piccoli led di colore giallo-verde accompagnando il movimento dei pannelli con piccoli bagliori simili allo scintillio delle lucciole. L’illuminazione di questa opera richiede meno energia di una lampadina da 75watt, inoltre fruisce dell’energia prodotta dal sistema eolico integrato nell’edificio.

TECHNORAMA FACADE (IL VENTO)

caption: Wind Façade, Technorama Science Center, Winterthur, Switzerland, 2002. Foto: Technorama

Technorama Facade è una delle prime opere di Ned Kahn risalente al 2002. La facciata del centro di scienza Svizzero Technorama è pensata come una maglia metallica alla quale sono ancorati migliaia di piccoli tasselli di alluminio liberi di muoversi seguendo le diverse correnti d’aria. La facciata segue il vento plasmandosi in composizioni sempre diverse e riflettendo la luce. Il risultato è quello di una pelle estremamente flessibile e viva che richiama l’incresparsi dell’acqua sotto l’effetto della corrente. Oltre ad arricchire di valore artistico l’edificio, la facciata interessa anche la larga piazza del museo dalla quale è ben visibile.

Le Wind Fins appartengono ad un’opera più recente del 2012: Il Neiman Marcus Store in California. Il sistema di pannelli in alluminio spazzolato è integrato in facciata, dove vetrate continue definiscono il prospetto principale dell’edificio. I pannelli verticali sono costituiti da una serie di alette che si muovono indipendentemente l’una dall’altra rispetto al perno fisso costituito dal montante verticale della struttura di supporto. È un sistema di schermatura solare mobile, che si muove delicatamente sotto l’effetto del vento, riflettendo le luci ed i colori dell’intorno urbano, generando un gioco di colori e riflessioni in movimento.

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Nel 2006 Ned Kahn realizza le Wind Leaves per il Waterfront di Milwaukee davanti al museo di Arte. Sono delle sculture altissime composte da un pilastro metallico al quale si agganciano tramite dei cuscinetti a sfera delle superfici ricoperte da piccoli dischi in acciaio inossidabile che riflettono la luce del sole. Come delle grandi foglie si muovono e ruotano attorno al pilastro per effetto del vento. Ma gli spettatori possono interagire in modo diretto con la struttura grazie a delle manopole che gli consentono di ruotare queste grandi foglie al vento.

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 PEBBLE CHIME (LA SABBIA)

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Sempre nel Milwaukee Waterfront, l’artista realizza tra le Wind Leaves, una serie di oggetti i Pebble Chime. I visitatori possono giocare con l’allestimento che funziona in modo simile ad uno xilofono, sembra quasi una foglia del Wind Leaves caduta a terra, la superficie però è in alluminio forato e al suo interno sono disposti dei chiodi, i visitatori possono far cadere dei ciottoli all’interno della foglia, in tal modo i ciottoli rimbalzando tra i chiodi produrranno musica.

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Shigeru Ban: rifugi autocostruiti per le vittime del terremoto del Nepal

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Lo studio Shigeru Ban Architects ha rilasciato le immagini del suo primo prototipo di un rifugio di emergenza progettato dopo il disastro in Nepal della scorsa primavera. 

Il prototipo è pronto per essere costruito entro la fine del mese di agosto ed è stato progettato per essere facilmente montato anche da persone non esperte in montaggio di strutture. 

RICOSTRUZIONI POST CALAMITÀ: NEW ORLEANS DOPO L'URAGANO KATRINA

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Utilizzando dei semplici collegamenti tra i moduli dei rifugi,  vengono realizzate le strutture di base (cornici in legno di 90 cm x 210 cm), i mattoni e le macerie recuperate vengono utilizzate per il tamponamento delle murature, mentre con i tubi di cartone (tipici dei progetti dell'architetto giapponese) viene creata una struttura reticolare che sostiene il tetto. Questo tipo di struttura, per come è stata concepita, come afferma Shigeru Ban, permetterà un "montaggio rapido e insediamento quasi immediata".

Shigeru Ban è un architetto infaticabile che vive tra New York, Tokyo e Parigi, e il cui lavoro ha da sempre espresso fiducia verso la rigenerazione e la ricostruzione di siti devastati. Di recente, nel 2014, ha vinto il Pritzker: si tratta del più prestigioso premio d’architettura internazionale, conferitogli per le sue opere costruite in materiali riciclati, destinate a ospitare i profughi delle guerre civili e le vittime dei disastri naturali. La sua tecnica usa materiali naturali rigenerabili come il bambù, oppure riciclati come le stoffe e i sottoprodotti di carta e plastica, o ancora adoperando materiali locali, per costruire colonne, muri e travi portanti.

La logica di Ban è semplice: realizzare qualcosa che sia facile da smontare e rimontare e nello stesso tempo resistente all’acqua e al fuoco. 

Per Shigeru Ban, la sostenibilità è un valore appartenente alla stessa architettura. Le sue opere si sforzano di utilizzare prodotti e sistemi adeguati, in sintonia con l’ambiente e il contesto specifico, nonché materiali rinnovabili e, quando possibile, di produzione locale.

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Il progetto del rifugio è stato concepito in collaborazione con l'organizzazione umanitaria di Ban, Voluntary Architects Network (VAN). A partire da quando si avvierà la realizzazione, la previsione è di fornire in pochi mesi case temporanee utilizzando materiali locali disponibili in Nepal. Partner del progetto e della realizzazione saranno anche le Università locali, gli studenti e molti architetti nepalesi. 

Intanto l'azienda di Ban e la sua organizzazione di soccorso volontario distribuiranno semplici tende-integrate con fogli di plastica donate dagli appaltatori locali che serviranno da pareti divisorie per essere montate temporaneamente in loco come rifugio temporaneo e stazioni per aiuto medico.

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